L’8 e il 9 giugno 2025, l’Italia torna alle urne con una consultazione referendaria.

Dietro la cornice legale dei quesiti relativi al lavoro, celano tensioni e fratture di un mercato del lavoro sempre più disallineato, dove la distanza tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi – in particolare quelli con partita IVA – assume i contorni di una discriminazione strutturale. C’è un grande assente: la condizione dei lavoratori autonomi e in particolare quella dei professionisti a partita IVA, che si trovano in una “terra di nessuno” tra impresa e subordinazione.

Negli ultimi due decenni, il numero dei lavoratori autonomi con partita IVA è aumentato in modo costante, nonostante la crisi economica e le fluttuazioni del mercato. Oggi, parliamo di circa 1,4 milioni di professionisti senza albo, collaboratori occasionali, freelance, consulenti, creativi, tecnici, formatori e operatori digitali, che vivono nella condizione paradossale di essere formalmente indipendenti, ma sostanzialmente subordinati. Questa forma di “autonomia apparente” è ciò che molti sociologi del lavoro definiscono “parasubordinazione”: un’area grigia in cui il lavoratore non ha le tutele del dipendente, ma nemmeno i benefici di chi gestisce davvero un’attività imprenditoriale. Le partite IVA che lavorano per un unico committente, senza potere negoziale, senza ferie pagate, senza malattia retribuita, senza tredicesima, senza copertura pensionistica piena, sono spesso veri e propri lavoratori mascherati. A differenza del lavoratore dipendente, che può appellarsi a uno statuto consolidato, a sindacati, a contratti collettivi, il lavoratore autonomo è solo. La sua marginalità giuridica lo rende vulnerabile a ogni shock economico, senza strumenti di protezione, né una rete di rappresentanza stabile eppure, questi lavoratori producono valore e tanti di loro sono i veri ingranaggi della trasformazione digitale, della comunicazione, del turismo, della cultura, della consulenza e dell’innovazione ma restano invisibili nei grandi processi di riforma del lavoro, anche in un referendum che si propone di restituire centralità alla dignità lavorativa.

Il punto centrale del confronto tra dipendenti e autonomi è la parità di diritti. Un dipendente gode di ferie, malattia, TFR, copertura INPS, maternità, sicurezza sul lavoro mentre un lavoratore a partita IVA non ha nulla di tutto questo, a meno che non riesca a pagare contributi aggiuntivi (con aliquote altissime) alla gestione separata INPS. Ma non è solo una questione previdenziale, la differenza si nota anche nella capacità di rappresentanza: i sindacati tradizionali hanno faticato a integrare la voce dei lavoratori autonomi, mentre le associazioni nate per rappresentarli non hanno ancora la forza di influenzare realmente il legislatore. Inoltre, l’accesso al credito, alla formazione finanziata, ai fondi europei o regionali è molto più complesso per chi lavora autonomamente, specie se non ha una struttura societaria; le banche vedono i freelance come soggetti ad alto rischio; le politiche attive del lavoro non li considerano beneficiari prioritari; i bandi pubblici li escludono con criteri troppo rigidi.

Si tratta di una disuguaglianza sistemica che si riflette anche nei percorsi di carriera, il lavoratore dipendente può ambire a un avanzamento, a un contratto a tempo indeterminato, a premi di produzione, il lavoratore autonomo rischia l’eterna precarietà, fatta di “lavoretti” discontinui, cambi di regime fiscale, e una perenne instabilità economica. Occorre sfatare un pregiudizio che permea ancora parte dell’opinione pubblica e della classe politica: la convinzione che chi apre una partita IVA sia un privilegiato, un evasore in potenza, o una figura elitaria in realtà, la stragrande maggioranza dei lavoratori autonomi oggi è spinta da necessità, non da scelta. Spesso si tratta di giovani altamente formati che non riescono a trovare contratti stabili, donne che cercano flessibilità nella gestione familiare, professionisti che operano ai margini dell’impresa tradizionale. Questa realtà impone un cambio di paradigma, non si può più parlare di lavoro solo in termini di subordinazione, bisogna superare la visione dicotomica tra dipendente e imprenditore, riconoscendo forme ibride e complesse che necessitano di tutele ad hoc.

Una vera riforma del lavoro dovrebbe prevedere:

  • Un nuovo statuto dei lavoratori autonomi, che preveda tutele minime garantite: malattia, maternità, ferie retribuite, copertura previdenziale equa.
  • Un sistema fiscale progressivo e sostenibile, che premi la continuità lavorativa e non penalizzi i redditi bassi.
  • La piena rappresentanza sindacale anche per i freelance, con tavoli negoziali settoriali e diritti collettivi riconosciuti.
  • Un welfare universale inclusivo, che preveda reddito minimo garantito anche per gli autonomi in crisi.
  • Un accesso agevolato a fondi pubblici, bandi, formazione continua e credito, per sostenere l’autoimprenditorialità reale.

Il referendum dell’8 e 9 giugno non tiene conto di chi oggi lavora ai margini della tutela legale e contrattuale, i lavoratori a partita IVA non chiedono privilegi, chiedono equità, dignità, riconoscimento e soprattutto chiedono di non essere dimenticati ogni volta che si parla di riforma del lavoro.

È ciò è una questione di civiltà da ricordare a chi ha spinto con tanta veemenza tale operazione tralasciando in modo discriminante, i diritti di chi purtroppo, non ha voce.

Mino Reganato


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Mino Reganato

Mino Reganato

Consulente/Direttore per strutture alberghiere, ha una lunga esperienza nel settore alberghiero e turistico con incarichi nei comparti Hotel (direttore d’albergo, gestore di strutture ricettive, consulente operativo e di startup, direttore commerciale), Tour operator (General manager e proprietario, direttore commerciale, direttore tecnico abilitato, accompagnatore turistico abilitato), Formazione (docente di corsi nel settore turistico per la formazione imprenditoriale).

Vincitore del premio italiano “Professionista dell’anno” 2017 di Solidus Turismo
Vincitore del premio italiano Tourism Web Award di Job in Tourism 2006
Vincitore del premio italiano Tourism Web Award di Job in Tourism 2009
Vincitore del premio italiano del turismo responsabile 2010
Vincitore del premio italiano del turismo responsabile 2013

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