In hotel, in ristorante, in aula: ogni parola è servizio. Ogni discorso è accoglienza. Ogni silenzio è responsabilità.

Nel mondo dell’hôtellerie siamo abituati a pensare alla comunicazione come strumento operativo: il briefing prima del servizio, la risposta al cliente, il dialogo con la brigata, il benvenuto al check-in. Eppure, comunicare non è solo trasmettere informazioni. È creare relazione, atmosfera, fiducia. È – nel senso più ampio e nobile – un atto di ospitalità. Credo fortemente in questo.

Chi lavora nel settore sa che basta uno sguardo mal calibrato, una parola fuori contesto o un tono sbagliato per rovinare un’esperienza. Ma sa anche che una frase detta bene, al momento giusto, può cambiare la giornata di una persona. O di un’intera squadra.


📣 Il public speaking non è solo per conferenze

Spesso pensiamo al public speaking come a una performance da palco, da TEDx o da riunione aziendale. Ma nella vita alberghiera, ogni giorno è una presentazione pubblica. Il maître che annuncia il menu a una sala gremita. La receptionist che guida dei nuovi clienti tra le bellezze dell’hotel. Lo chef che racconta un piatto al tavolo. Il docente che apre la giornata davanti a una classe stanca. Il manager che presenta una visione durante il meeting di fine stagione. Sono tutte occasioni di public speaking. Ma soprattutto: sono occasioni di accoglienza.


🎙 Le parole costruiscono ambienti

Il tono con cui accogliamo, il modo in cui rispondiamo a una critica, la chiarezza con cui diamo una spiegazione… tutto questo definisce l’ambiente in cui lavoriamo. Comunicare bene significa creare un clima ospitale anche nelle relazioni professionali. E questo vale per i clienti, ma soprattutto per i colleghi.

Una comunicazione ospitale:

  • ascolta prima di parlare,
  • chiarisce senza umiliare,
  • valorizza senza esagerare,
  • chiede scusa senza paura,
  • guida senza imporsi.

Chi padroneggia il public speaking in questo senso, non è solo un bravo oratore. È un leader gentile, un educatore silenzioso, un ambasciatore di cultura.


🧭 Le 3 dimensioni della comunicazione ospitale

  1. Accoglienza verbale. Non basta essere gentili: serve essere intenzionalmente accoglienti. Le parole devono aprire spazi, non chiuderli. Devono includere, non escludere.
  2. Presenza scenica. Anche in una sala colazione, o in aula, serve consapevolezza del corpo e dello spazio. L’educazione alla comunicazione passa anche da qui: dal modo in cui entriamo in scena ogni giorno.
  3. Scopo e valore. Parlare per dire qualcosa, non per riempire un vuoto. Il public speaking efficace parte da una domanda di sensoPerché sto parlando? Che valore voglio portare a chi mi ascolta?

Comunicare è servire

In ultima analisi, comunicare è una forma di servizio. Ogni parola che scegliamo è un gesto. Ogni frase è come un piatto che stiamo servendo. Può nutrire o respingere. Può accogliere o confondere. Può lasciare il segno o passare nel silenzio.

La vera arte dell’ospitalità non è solo nelle mani. È anche nella voce. Nel pensiero. Nella capacità di far sentire ogni persona importante e accolta, anche solo con le parole.

Voi cosa ne pensate?


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