Quando Christo, nel 2016, realizzò “The Floating Piers” – quella sua creazione concettuale, ma incredibilmente reale e cromaticamente gioiosa con cui consentì a migliaia di persone di camminare sulle acque del lago Sebino – non realizzò la sua effimera installazione di Land Art sopra lo specchio lacustre per dimostrare qualcosa o per guadagnarsi l’immortalità, ma per inviarci un messaggio. 

Con l’energia creativa che solo l’arte consente, volle sensibilizzarci sul vero ruolo del genere umano e di ciascun individuo come parte integrante ed attiva del creato, immergendo a pieno titolo la sua opera e le persone nell’esuberanza della natura circostante. Un lavoro artistico estenuante nella preparazione, ma generoso e riuscito in quanto spiritualmente comunitario, col quale affrancare lo spirito vitale dei suoi fruitori dal giogo della retorica e della mediocrità, dell’immodestia e dei luoghi comuni.

Ma ora, l’occidente contemporaneo senza controllo vive momenti cruciali tanto gravi da riverberarsi pesantemente su tutto il pianeta, esponendo a grossi rischi l’umanità intera e, con essa, le forme di espressione da sempre considerate più alte. Senz’altro, fra queste va annoverata l’Arte che, lungi dal valere soltanto come merce di scambio e d’interesse economico, “può essere un linguaggio di pace, uno spazio dove persone di culture e prospettive diverse s’incontrano” (Alfonso Cuarón, regista messicano premio Oscar).

Essa riveste un ruolo fondamentale, che però sembra non avere alcun peso per chi si limita a ‘galleggiare’ sul quotidiano, evitando ogni spunto di riflessione: o peggio, per chi ne fa un uso spregiudicato a fini speculativi e finanziari che spingono a trasformare luoghi d’elevato potenziale culturale e di vita vissuta in paradisi artificiali, in un simulacro del ‘tempo perduto’ venduto (o svenduto) come pacchetto turistico. 

In proposito, è bene sottolineare come la vera risorsa non sia il turismo in sé stesso, ma lo sono i territori, i musei, le città, i beni culturali in senso lato: al contrario, l’economia del turismo “è un’economia estrattiva che ne sottrae il valore, ponendo la cultura al suo servizio come strumento di speculazione economica” (Sarah Gainsforth).

A questo punto s’impone una domanda provocatoria: quante persone di media cultura che entrino in un museo, o varchino le mura d’accesso ad un borgo storico per scoprirne i tesori, sanno che in quegli spazi di conoscenza e di pura bellezza è possibile riscoprire… sé stessi? 

Si tratta di un tema su cui vale coinvolgere il mondo alberghiero, settore d’eccellenza che può vantare affinità elettive col pianeta dell’offerta culturale, potendo a sua volta ampliarne le prospettive e creare nuove opportunità ‘trasversali’ di alto profilo. Si pensi al ‘tempo ritrovato’ in un palazzo nobiliare riadattato ad hotel innovativo e funzionale, o ad un albergo diffuso* (v. foto) che nasce dall’intelligente recupero, eticamente corretto, di antichi siti e borgate sottratti all’oblio.

Per l’attività “di frontiera” che svolge ogni giorno, un/una professionista dell’accoglienza si trova nella felice posizione di chi può dare slancio all’immaginario delle persone che mettono piede nella sua struttura ricettiva. 

Sulla falsariga d’un creativo o d’un artista, deve essere in grado di dialogare con la sua clientela, quale essa sia e da qualunque luogo provenga, dando visibilità alla vocazione del territorio insieme allo spirito ed alle usanze di chi in esso vive e lavora; e suggerendo le migliori alternative per un soggiorno di vera ricerca, o di qualità superiore. 

Quale migliore biglietto da visita gli sarebbe possibile offrire ai suoi ospiti?

L’AGRONAUTA

* L’albergo diffuso dei Sassi di Matera è frutto di un progetto culturale realizzato da ‘Sextantio’ (sextantio.it) con tecniche povere ed antiche, che ha permesso di rendere giustizia alla primordiale essenza materica della pietra e della caverna tramite scelte, anche estreme, di conservazione degli spazi originari. 

La struttura nasce dall’intuizione e dal talento visionario dell’imprenditore italo svedese Daniele Kihlgren, che anni fa avviò un ambizioso progetto di “restauro conservativo del patrimonio storico minore” italiano. Un lavoro rispettoso dell’identità paesaggistica, antropologica e storico-architettonica di quei luoghi, dichiarati patrimonio dell’umanità nel 1993.


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