Accogliere è conoscere, conoscere è accogliere

Difficile confutare l’assunto secondo il quale una persona preparata e di mente aperta è in grado d’esprimere il meglio di sé stessa, di affermare la propria personalità, di ottenere l’ammirazione di chi le sta intorno quando agisce con slancio e spontaneità nei confronti degli altri, con la volontà di andare loro incontro e la capacità – virtù rara, oggigiorno – di accettarne l’apporto umano in ottica scambievolmente accrescitiva. 

Nell’ambito del ricevimento alberghiero ciò assume sfumature professionali ancor più significative, laddove le attenzioni ed il rispetto per l’ospite, qualunque ne siano il profilo individuale o lo status, vanno inclusi fra le qualità che aggiungono valore al doveroso e cordiale saluto di benvenuto, a prescindere dalla lingua in cui viene rivolto. 

Offrire o suggerire al cliente qualcosa che non s’aspetta è risorsa preziosa per un operatore dell’accoglienza che sappia agire in modo brillante eppur sotto traccia, senza ergersi a protagonista non richiesto: per dare modo all’ospite di sentirsi a suo agio nel posto desiderato, al momento giusto. L’umiltà è un valore importante, specie se corredata da preparazione ed intuito, estro ed attenzione, cortesia e convinzione nei propri mezzi che sappiano rendere gratificante il soggiorno a chiunque; e ciò vale non solo in hotel, ma anche nella cornice del vivere quotidiano. 

C’è un ‘racconto plausibile’ di Carlos Drummond de Andrade – riportato di seguito – che, con eleganza letteraria e gustosa ironia sottolinea come, al contrario del nostro receptionist, chi presume un po’ troppo da sé stesso e dalle proprie certezze corra il rischio di restare deluso, o finisca con l’essere castigato.

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La vera sapienza sta nei libri non scritti, nei fogli di carta ancora bianchi riuniti in volumi rilegati. È questa la conclusione di un bibliotecario che divenne filosofo. Fece sostituire i libri stampati, che… gli ferivano la vista, con altri d’immacolato candore e constatò che era in questi l’essenza del conoscere. Gli piaceva aprirli a caso e passare delicatamente le dita su quelle superfici vergini. Nessuna falsa teoria, nessun errore c’era in quelle pagine. Anzi, era come se vi avesse dimora un sapere inconfutabile. Il sapere è bianco – pensava – le menzogne sono colorite e le lettere rappresentano sul piano visivo sofismi ed enigmi privi d’interpretazione.

La sua biblioteca si andò riducendo, perché nelle imperfezioni dei fogli il nostro uomo vedeva degli errori che in cuor suo rifuggiva. A volte vi era una semplice piega, o il segno di un’unghia che qualcuno aveva lasciato. Quel volume era condannato. Così, da una riduzione all’altra, la biblioteca arrivò ad includere un solo volume, contenente la verità assoluta. Sfogliarlo sarebbe stato un rischio terribile: e se una pagina si fosse rovinata? Se vi fosse caduta una goccia di caffè, o la cenere d’una sigaretta?

Non lo apri più. Pose il libro sotto una campana di vetro, dove lo contemplava in estasi. Dormiva felice, con la certezza che l’ineffabile sapienza fosse lì, protetta, a due passi dal suo letto. Ma il caldo spezzò il vetro della campana: e nel togliere le schegge di vetro dal libro, quel “saggio” si procurò un taglio alla mano che sanguinò sul volume, contaminando la perfetta sapienza. Non fu mai più felice.

L’AGRONAUTA


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