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La parola turistificazione รจ entrata nel nostro vocabolario quasi in punta di piedi, come spesso accade ai fenomeni complessi che prima creiamo, poi purtroppo, li subiamo e solo alla fine proviamo ad analizzarli ma spesso รจ giร tardi. La turistificazione territoriale non รจ semplicemente lโaumento dei flussi turistici in una destinazione, nรฉ tantomeno il successo di una localitร ma qualcosa di piรน sottile e proprio per questo, piรน pericoloso. ร il momento in cui il turismo smette di essere ospite e diventa padrone, riscrivendo i luoghi a propria immagine e somiglianza, fino a snaturarne lโanima. Camminando oggi in molti centri storici italiani soprattutto in molte cittร dโarte, si ha una sensazione strana, difficile da spiegare ma immediatamente percepibile. Le pietre sono le stesse di sempre, i campanili scandiscono ancora le ore, le piazze conservano il loro disegno originario eppure qualcosa non torna. I negozi si assomigliano tutti, le vetrine parlano una lingua globale, i profumi sono spesso identici da Nord a Sud e si ha lโimpressione di essere ovunque e in nessun luogo, segno che la turistificazione ha preso il sopravvento e il territorio ha smesso di raccontare se stesso, iniziando a recitare una parte pensata per altri. Il turismo, nella sua essenza, nasce come incontro tra chi arriva e chi resta, tra culture diverse, tra sguardi curiosi e storie sedimentate nel tempo e per decenni รจ stato uno strumento straordinario di crescita economica e sociale, soprattutto in un Paese come lโItalia, dove ogni borgo, ogni quartiere, ogni strada ha qualcosa da raccontare. Quando perรฒ il turismo diventa lโunico metro di misura del valore di un luogo, quando ogni scelta urbanistica, commerciale e culturale รจ orientata esclusivamente al visitatore, allora lโequilibrio si spezza. Uno dei segnali piรน evidenti della turistificazione รจ la scomparsa progressiva dei piccoli laboratori artigiani e dei negozi di prossimitร , quelle botteghe che non erano semplicemente luoghi di vendita ma veri e propri presidi culturali. Il falegname che lavorava il legno secondo tradizioni tramandate da generazioni, la sarta che conosceva i corpi e le storie delle persone del quartiere, il fornaio che sfornava pane e dolci seguendo ricette tramandate nella notte dei tempi con ritmi legati alle stagioni. Tutto questo, in molte destinazioni, sta lentamente svanendo. Al loro posto proliferano attivitร commerciali pensate per un consumo rapido, standardizzato, facilmente riconoscibile, negozi di souvenir che vendono prodotti โtipiciโ identici a quelli che si trovano a centinaia di chilometri di distanza, gastronomie che propongono piatti semplificati e adattati a palati globali, manifatture che imitano lโartigianato locale senza averne nรฉ la storia nรฉ la sostanza. ร una messa in scena della tradizione, una caricatura che funziona bene in fotografia ma che perde ogni profonditร una volta grattata la superficie. Il problema non รจ il souvenir in sรฉ, nรฉ lโesigenza del turista di portare a casa un ricordo, il problema nasce quando il ricordo sostituisce la realtร , quando lโimitazione prende il posto dellโoriginale perchรฉ piรน economica, piรน veloce, piรน facilmente replicabile ed รจ proprio in questo contesto che il territorio perde progressivamente la propria voce, uniformandosi a un linguaggio commerciale che non gli appartiene. ร una forma di colonizzazione morbida, senza eserciti nรฉ confini, ma non per questo meno incisiva. La gastronomia รจ uno dei campi in cui la turistificazione produce gli effetti piรน evidenti e, paradossalmente, piรน accettati con piatti tradizionali ridotti a versioni semplificate, ingredienti sostituiti con alternative industriali e ricette adattate per essere โinstagrammabiliโ piรน che autentiche. Il cibo, che dovrebbe essere uno dei veicoli principali della cultura locale, diventa spesso uno strumento di marketing, svuotato della sua funzione identitaria dove la scritta del โqui si mangia tipicoโ campeggia con orgoglio sulle insegne di finte trattorie, senza sapere da dove ha origine il prodotto alimentare, chi lo produce e soprattutto quale storia porta con sรฉ. Questa trasformazione non avviene per caso รจ il risultato di dinamiche economiche precise. Gli affitti commerciali aumentano in modo esponenziale nelle aree ad alta pressione turistica, rendendo insostenibile la permanenza di attivitร artigiane a basso margine e i piccoli produttori, schiacciati dai costi e dalla concorrenza di prodotti industriali a basso prezzo, sono costretti a chiudere o a spostarsi altrove. Nel frattempo, catene e attivitร standardizzate, forti di capitali e modelli replicabili, occupano gli spazi lasciati liberi. A pagarne il prezzo non sono solo gli artigiani o i commercianti storici, ma lโintera comunitร locale inclusi i residenti che iniziano a percepire il proprio quartiere come un luogo che non gli appartiene piรน, pensato per altri, regolato da orari, prezzi e dinamiche che rispondono a logiche esterne. Le cittร si svuotano di abitanti e si riempiono di visitatori temporanei e i centri storici diventano scenografie, belle ma fragili, incapaci di sostenere una vita quotidiana autentica. In questo contesto, la cultura locale rischia di diventare un prodotto da scaffale, dove le tradizioni vengono โpersonalizzateโ secondo i gusti dei turisti, le feste folkloristiche adattate ai calendari turistici, i linguaggi addomesticati per essere facilmente comprensibili a chi resta solo pochi giorni. Non si tratta di un processo sempre consapevole o malizioso spesso รจ il risultato di una rincorsa affannosa a un modello di sviluppo che promette redditivitร immediata, senza interrogarsi sulle conseguenze a medio e lungo termine. Eppure, la turistificazione non รจ inevitabile, esistono alternative, percorsi diversi, modelli di sviluppo turistico capaci di generare valore senza distruggere ciรฒ che rende un luogo unico. La chiave sta nel ribaltare la prospettiva e cioรจ non chiedersi cosa vuole il turista, ma cosa รจ il territorio disposto a offrire senza snaturarsi, รจ una differenza sottile ma fondamentale dove รจ necessario mettere al centro la comunitร residente, i suoi bisogni, le sue competenze, le sue fragilitร . Un turismo realmente sostenibile non รจ quello che riduce lโimpatto ambientale lasciando intatto il tessuto sociale ma quello che rafforza le economie locali, tutela i saperi tradizionali, crea relazioni durature tra chi arriva e chi resta, significa favorire filiere corte, valorizzare la produzione artigianale autentica, sostenere le botteghe storiche non come attrazioni museali ma come parti vive dellโeconomia urbana, quindi educare il turista, accompagnarlo verso una fruizione piรน consapevole, meno frettolosa, piรน rispettosa. Il ruolo delle amministrazioni locali รจ cruciale in questo processo dove le scelte urbanistiche, le politiche fiscali, la regolamentazione delle attivitร commerciali possono fare la differenza tra una cittร che resiste alla turistificazione e una che ne viene travolta. Incentivare lโapertura di botteghe artigiane, calmierare gli affitti, limitare la proliferazione di attivitร standardizzate, sostenere eventi culturali autentici sono tutte azioni possibili, se supportate da una visione chiara e condivisa. Anche gli operatori turistici hanno una grande responsabilitร come gli Alberghi, i ristoranti, le guide, i tour operator che possono diventare alleati del territorio o al contrario, acceleratori della sua omologazione. Raccontare il luogo nella sua complessitร , coinvolgere produttori locali, proporre esperienze vere e non pacchetti preconfezionati significa contribuire a un turismo che lascia qualcosa, invece di portare via tutto, รจ una una scelta che richiede coraggio indubbiamente a rinunciare a guadagni immediati in favore di una sostenibilitร piรน profonda. Cโรจ poi un aspetto spesso trascurato, ma fondamentale: il tempo. La turistificazione รจ figlia della velocitร , del consumo rapido, del โmordi e fuggiโ, contrastarla significa rallentare, invitare a fermarsi, a osservare, a comprendere. Un laboratorio artigiano non si apprezza in cinque minuti, una tradizione gastronomica non si racconta con un piatto solo, una cultura non si consuma come un prodotto usa e getta, serve tempo e il tempo รจ oggi risulta prezioso per chi intende massimizzare i profitti, inserendo un pacchetto di dubbio valore, pieno zeppo di attivitร , ovviamente tutte a pagamento. Il rischio piรน grande รจ quello di accorgersi della perdita solo quando รจ ormai irreversibile, quando le botteghe chiudono definitivamente, quando le competenze si disperdono e la memoria collettiva si spegne e a quel punto, anche il turismo perde valore, perchรฉ ciรฒ che lo rendeva attrattivo non esiste piรน, restano luoghi belli, sรฌ, ma vuoti ed incapaci di emozionare davvero. La sfida che abbiamo davanti non รจ scegliere tra turismo e identitร , ma trovare un equilibrio tra i due, dinamico e imperfetto ma da rinegoziare continuamente. In fondo, la vera ricchezza di un territorio non sta nel numero di visitatori che riesce ad attirare ma nella capacitร di restare sempre sรฉ stesso e ciรฒ puรฒ unicamente avvenire attraverso la conservazione delle sue botteghe, la veritร dei suoi prodotti, e soprattutto nella coerenza delle sue storie. Proteggere tutto questo non รจ un atto nostalgico, ma una scelta strategica, perchรฉ senza autenticitร , il turismo diventa solo un rumore di fondo e i luoghi, lentamente, smettono di parlare.
Mino Reganato
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