appunti di viaggio d‘un ‘pescatore di perle’ (e) – Enfer d’Arvier, 3a parte
Nel 1959 fu istituito un consorzio di miglioramento fondiario per rielaborare i vigneti, che erano stati nuovamente abbandonati nel secondo dopoguerra. Terminati i lavori nel 1976, ventiquattro mesi più tardi – a sei anni di distanza dall’ottenimento della D.O.C. per l’Enfer – venne inaugurata la “CoEnfer” che, in loco, è considerata la vera anima di Arvier.
Proprio allora, grazie all’intervento dell’Amministrazione regionale, alla passione ed alla tenacia degli agricoltori, si ebbe una notevole rinascita della viticoltura valligiana, che poté così uscire da una crisi durata un secolo e mezzo.
Vi furono ancora momenti delicati fino a quando, però, sul finire degli anni Novanta il medesimo Ente regionale promosse la costruzione in località Clou della nuova cantina sociale, poi inaugurata nel 2004, cui aderiscono un centinaio di soci.
Un doveroso riconoscimento a chi, nell’arco dei decenni, seppe scongiurare l’abbandono ed il degrado di quel territorio poco distante dal monte Bianco per farne patrimonio comune, praticando quella che – con fierezza – viene chiamata, a ragione, ‘viticoltura eroica’.
In tempi recenti, l’Enfer d’Arvier ha ottenuto il marchio di qualità del Parco Nazionale del Gran Paradiso, in quanto risponde a precisi standard di tipicità territoriale e soddisfa le procedure di sostenibilità ambientale e di sfruttamento compatibile delle risorse.
Pratiche agronomiche mirate assicurano salubrità e fertilità al terreno, in base al concetto che affinché il vino sia la genuina espressione del suo ‘terroir’ si deve preservare in primis l’armonia dell’ambiente naturale.
“I contadini di montagna non naufragavano mai sulle stagioni. La chiave di tutto il reale era il lavoro… e più erano logorati, più s’affermava un’indicibile finezza, un tatto: il loro vissuto.” (Maurice Chappaz)
L’AGRONAUTA
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