Parole ritrovate in un’agenda scolastica del 1965 ci ricordano un’educazione che puntava in alto, senza paura della fatica

L’ho ritrovata per caso: un’agenda scolastica del Collegio Mellerio-Rosmini di Domodossola, datata 1965-66. Una di quelle pubblicazioni sobrie, curate, dove ogni pagina sembrava contenere più senso che grafica. Ma soprattutto: parole importanti. Parole rivolte a studenti, docenti, famiglie. Parole che non si accontentano di dire cosa fare, ma spiegano chi essere.

Il Collegio Rosmini è una storica istituzione educativa, attuale sede dell’Istituto Alberghiero dove presto servizio. In passato, nei suoi Licei, si insegnavano filosofia, lingue antiche e moderne, scienze, religione, letteratura… ma si coltivava soprattutto una visione: quella di una scuola che non separava il sapere dalla coscienza, né l’istruzione dall’educazione.

Lo si legge chiaramente sin dalle prime pagine dell’agenda, dalle parole di Pio XII:

“I collegi si propongono di formare uomini al di sopra della mediocrità, sui quali la società, sia religiosa che civile, possa fare affidamento per l’avvenire.”

Oggi questa espressione – “al di sopra della mediocrità” – può suonare scomoda. Ma se togliamo il tono giudicante e conserviamo il cuore, ci resta una domanda: la scuola è ancora un luogo dove si può ambire a qualcosa di alto? Dove si educa a un “oltre” – oltre il voto, oltre la performance, oltre il mercato?


📖 La carità intellettuale non è dolcezza, è rigore

Antonio Rosmini (Rovereto 1797 – Stresa 1855) non considerava l’insegnamento una mera trasmissione di nozioni, ma un esercizio di carità intellettuale.

“Solo de’ grandi uomini possono formare altri grandi uomini.”

Educare per lui significava servire la crescita intellettuale dell’altro con amore e verità, anche quando costa. Anche quando è faticoso. Anche quando non è compreso. La scuola era (ed è) un luogo in cui la verità si condivide, non si impone. Ma con rigore, non con pigrizia.

Ecco un’altra frase rivolta ai convittori, sempre di Pio XII, che oggi dovrebbe risuonare forte:

“Essere svogliati e pigri significherebbe tradire se stessi e rinunciare allo sviluppo completo e armonico della propria persona.”

Non si tratta di giudicare i ragazzi, ma di credere in loro abbastanza da aspettarsi impegno. Di non abbassare l’asticella per quieto vivere, ma di educare alla lotta buona, alla fatica formativa, a una libertà che si costruisce passo dopo passo, anche nei giorni storti.

“Il vostro impegno dev’essere costante, inflessibile nelle difficoltà, pronto ai cimenti e alle rinunzie, perché ciò che non costa, non vale.”


🤝 La scuola è un’alleanza, non un servizio a richiesta

Un’altra intuizione potente è il richiamo alla concordia tra Collegio e Famiglia:

“È necessaria una perfetta concordia di principi e di indirizzi tra il Collegio e la Famiglia, affinché l’uno non distrugga l’azione dell’altra e viceversa.”

Oggi più che mai, educare richiede alleanze vere. Non accordi superficiali, non deleghe reciproche, ma unità di visione. In un tempo in cui le “agenzie educative” si indeboliscono a vicenda, questa frase d’altri tempi è una chiamata al coraggio educativo condiviso (un’ardua impresa!).


✍️ L’avvenire non si prevede, si forma

Ciò che colpisce di più, forse, è questa visione dell’educazione come cura dell’avvenire, che oggi temo manchi un po’… Il futuro non è solo un dato tecnico, un orizzonte da ottimizzare. È qualcosa che si plasma educando bene il presente (senza però cadere in un distruttivo “presentismo”).

“Ma voi l’avvenire lo avete in vostro potere, perché in mano vostra sono le nuove generazioni, le quali dovranno dominarlo e plasmarlo.”

Oppure, rivolgendosi agli studenti:

“Ponete piena fiducia in quelli che hanno preso su di sé la grave responsabilità del vostro avvenire.”

Parole forti che ci ricordano quanto l’educazione sia, alla fine, un atto di fiducia. Da parte di chi insegna. Da parte di chi impara. Da parte di chi, da lontano, sostiene.


🕯️ Allora, oggi?

Oggi ci servirebbero ancora parole così, tradotte naturalmente nella nostra società che è il risultato e la sperimentazione continua di un enorme progresso pedagogico, inclusivo, sociale, economico e tecnologico (e dell’illusione, per i più, che non serve “faticare” così tanto per ottenere risultati considerati sufficienti). Parole che non promettono scorciatoie, ma senso. Parole che chiedono impegno, ma restituiscono dignità. Parole che educano non al successo, ma alla verità, al bene, alla giustizia:

“Contrapponete a questo secolo, che tutto misura secondo il criterio del successo, una educazione che renda il giovane capace di discernere tra l’errore e la verità, il bene e il male, il diritto e l’ingiustizia, fissando i puri sentimenti d’amore, di fraternità e di fedeltà.”

Chiariamo: nulla di nostalgico in questo mio articolo, soltanto dei sani e ispiranti interrogativi aperti, per lavorare al miglioramento continuo del nostro orizzonte. Non per tornare indietro, ma per non perdere ciò che ci spinge in alto.

La scuola, se vuole essere ancora umana, vera, generativa, forse dovrebbe tornare a pensarsi come autentico luogo di carità intellettuale, di rigore affettuoso, di verità condivisa aperta al futuro (e non solo agli imminenti scrutini o esami). Dove si cresce insieme, non per diventare bravi a scuola, ma bravi a vivere.

Voi cosa ne pensate?


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1 commento

  1. Echi dal Parnaso dice:

    Penso che il contenuto del servizio risponda all’esigenza di ragionare controcorrente senza false presunzioni, ma con adeguato fervore analitico e fiducia nel prossimo, cercando di svincolarsi dal mortificante livellamento planetario verso il basso attualmente in atto.
    Insegna che occorre rinsaldare i propri princìpi morali, il legame con gli altri ed il rispetto per i valori dei padri, messi in pericolo da una ristretta ma pericolosa marmaglia di psicotici predatori.
    Le amarezze, gli inevitabili dubbi e le parziali sconfitte di oggi non significano molto se messe a confronto con l’interpretazione ideale dell’etica collettiva e della moralità di ciascuno; virtù universali che è giusto tenere vive e ben strette sapendo che potranno servirci domani e, forse, salvarci dal delirio d’onnipotenza di pochi.

    C. B.

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