Nel mondo dell’ospitalità ci sono temi che restano avvolti da un silenzio prudente, quasi fossero tabù da non toccare. Uno di questi è lo stipendio dei lavoratori d’hotel. È paradossale, tutti sanno che il cuore pulsante di una struttura non sono i muri, né i letti, né tantomeno i software di gestione, ma le persone che ogni giorno danno vita all’accoglienza. Receptionist, cameriere ai piani, addetti alla sala, cuochi, manutentori sono loro a determinare l’esperienza del cliente, a renderla positiva o negativa, a influenzare in maniera decisiva quelle recensioni che oggi valgono quanto una campagna pubblicitaria eppure proprio questi lavoratori continuano a vivere dentro un modello retributivo immobile, vecchio di decenni, fatto di stipendi fissi spesso al minimo sindacale, qualche straordinario pagato quando va bene e mance che in molti casi sono ormai un ricordo del passato.

La domanda, allora, sorge spontanea e vuole essere volutamente provocatoria: se lo schema fosse diverso? Se lo stipendio dei lavoratori d’hotel fosse composto da una base fissa più una percentuale legata ai risultati della struttura? Una sorta di partnership economica che trasformi i dipendenti in co-protagonisti del successo. Fantascienza, utopia, o una possibilità reale capace di scardinare vecchie certezze e aprire scenari nuovi? In fondo, perché un direttore commerciale o un revenue manager possono contare su bonus e incentivi e un receptionist no? Perché un cameriere di sala deve accontentarsi di un salario fisso quando la qualità del suo servizio incide direttamente sul punteggio delle recensioni e quindi sul volume delle prenotazioni? Perché un’addetta ai piani che rifà la camera con cura maniacale non può beneficiare, almeno in parte, del valore che sta generando per l’hotel?

Gli imprenditori, va detto, hanno una risposta pronta, non si può trasferire il rischio d’impresa sul dipendente. Un’osservazione legittima, perché chi investe capitali si assume responsabilità che devono rimanere sue ma la provocazione non riguarda il rischio, bensì i benefici. Nessuno propone di togliere sicurezza economica ai lavoratori si tratta, piuttosto, di aggiungere un riconoscimento in più, una quota variabile che non sostituisce ma integra, una parte fissa garantita, dignitosa e sufficiente a vivere, e accanto ad essa una percentuale legata a parametri chiari e misurabili quindi non solo fatturato, che dipende anche da variabili esterne come l’andamento dei mercati o il meteo, ma recensioni online, upselling, tasso di ritorno della clientela, efficienza nella gestione delle risorse, riduzione degli sprechi.

Pensiamo a cosa potrebbe cambiare. In un hotel dove ogni recensione positiva diventa anche una piccola soddisfazione economica, il sorriso non sarebbe più solo un gesto di cortesia ma un valore tangibile. In un contesto dove proporre un upgrade o un late check-out non è un compito imposto dall’alto ma un’occasione di guadagno condiviso, la motivazione crescerebbe in modo naturale. I vantaggi sarebbero evidenti, maggiore partecipazione, un senso di appartenenza più forte, riduzione del turnover e un’attenzione ai dettagli che oggi spesso sfugge perché invisibile agli occhi della proprietà ma non a quelli del cliente.

Certo, il modello avrebbe bisogno di regole precise per non trasformarsi nell’ennesimo strumento di sfruttamento. Il rischio, infatti, è che una quota variabile mal gestita diventi l’alibi per abbassare la base fissa e spingere i dipendenti a lavorare di più con la promessa di bonus irraggiungibili. Sarebbe il caporalato in versione elegante e questo va evitato a ogni costo. Perché il fisso deve restare il pilastro, la garanzia di dignità e stabilità, mentre la percentuale deve rappresentare un premio reale, ottenibile e proporzionato.

Fuori dall’Italia, esperienze simili esistono già. Nel mondo anglosassone, molte catene internazionali prevedono bonus collegati alla soddisfazione dei clienti o al raggiungimento di target collettivi, perfino nella ristorazione di fascia alta, in alcuni casi, una parte dello stipendio è legata al gradimento espresso dai clienti. In Italia, invece, la resistenza è soprattutto culturale. Qui il lavoro d’hotel viene ancora percepito come servizio esecutivo e invisibile, il cameriere che apparecchia, la cameriera che rifà i letti, il receptionist che consegna le chiavi, figure importanti ma viste come pedine sostituibili, non come partner di un’impresa. Portare un modello misto significherebbe ribaltare questa mentalità e riconoscere che anche chi lavora “in basso” contribuisce ai risultati “in alto”.

E i lavoratori, come reagirebbero? Le voci sono contrastanti. Molti giovani, abituati a logiche meritocratiche e meno inclini ad accettare passivamente schemi rigidi, vedrebbero di buon occhio un sistema che consente di guadagnare di più se si lavora meglio, altri, invece, preferiscono la sicurezza, sapere esattamente quanto si guadagna a fine mese senza dover dipendere da variabili esterne. È un dibattito che divide, ma che dimostra quanto il tema sia vivo.

In definitiva, il nodo sta tutto qui, vogliamo dipendenti che timbrano il cartellino aspettando la fine del turno o collaboratori che hanno un interesse diretto nella crescita dell’hotel? Il settore alberghiero italiano non può continuare a lamentarsi di personale demotivato, stipendi bassi e difficoltà a trovare risorse senza mettere in discussione i modelli retributivi, forse la via di uscita è proprio in un equilibrio nuovo, un fisso che garantisca dignità e una percentuale che restituisca orgoglio, senso di appartenenza e partecipazione ai risultati.

Sarebbe una piccola rivoluzione, certo, forse utopica, forse prematura, ma necessaria almeno come discussione perché se un hotel funziona, se cresce, se conquista recensioni e clienti, il merito non è mai solo del proprietario, è di tutti, dal direttore al ragazzo che sparecchia i tavoli.

E allora perché continuare a far finta che non sia così?


Scopri di più da AIRA Online

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Mino Reganato

Mino Reganato

Consulente/Direttore alberghiero, ha una lunga esperienza nei settori turistico-alberghiero.

Rispondi