«Il lavoro sta cambiando. Occorre inserirsi nei cambiamenti. Per governarli e orientarli in direzione della giustizia e del rispetto di ogni persona».
Queste parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pronunciate in occasione della cerimonia di consegna delle Stelle al Merito del Lavoro per l’anno 2025, risuonano come un invito alla responsabilità collettiva, ma anche come un monito rivolto a ciascuno di noi. Perché il lavoro non cambia mai da solo: cambia con le persone che lo fanno, con la cultura che lo circonda, con la formazione che lo prepara e con la società che lo ispira.
Nel mondo dell’ospitalità, questo cambiamento è già in atto. Gli alberghi non sono più soltanto luoghi di soggiorno, ma ecosistemi di esperienze. I ristoranti non sono più semplicemente punti di ristoro, ma spazi di incontro tra cultura, sostenibilità e comunità. Le scuole alberghiere, a loro volta, non dovrebbero preparare più soltanto tecnici, ma cittadini capaci davvero di interpretare il complesso mondo attraverso la lente dell’accoglienza.
Il futuro del lavoro nell’ospitalità non è fatto di mansioni, ma di significati. Saper servire un vino, accogliere un ospite, preparare un piatto o gestire un evento non sono soltanto gesti “meccanici”, ma gesti “relazionali”. Il valore non sta più nella mera esecuzione, ma nella comprensione profonda del perché lo si fa. In questo senso, il mestiere dell’ospitalità può diventare una forma di educazione continua all’attenzione, alla cura, alla giustizia quotidiana che si manifesta nel rispetto di ogni persona: colleghi, clienti, fornitori, comunità…
Ma per rendere tutto questo reale, servono condizioni di lavoro migliori, non solo parole. Soprattutto in Italia. Occorre costruire posti di lavoro stupendi, dove la qualità della vita e quella del servizio crescano insieme. Occorre stabilire un miglior rapporto tra vita e lavoro, con turni umani, rispetto dei contratti e valorizzazione autentica dei talenti. L’ospitalità non può più essere un sacrificio fine a se stesso, ma una consapevole scelta di valore e di senso.
La formazione rappresenta la chiave per governare il cambiamento. Occorre alzare il livello e l’appeal della formazione di base, perché l’ospitalità del futuro richiede competenze culturali, linguistiche, tecnologiche ed etiche sempre più ampie. Ma serve anche una formazione continua, che accompagni ogni professionista e ogni azienda lungo tutto l’arco della vita lavorativa.
La tecnologia, l’intelligenza artificiale e l’automazione stanno ridefinendo molti aspetti operativi. Ma proprio per questo, ciò che resta davvero umano diventa ancora più prezioso. L’empatia, la parola gentile, lo sguardo sincero, la capacità di ascolto e di mediazione: sono queste le competenze del futuro.
E qui apro una parentesi: se le macchine e le tecnologie ci liberano tempo, fatica e posti di lavoro, allora è giusto che contribuiscano a sostenere il benessere collettivo. Come suggeriva uno sprovveduto come Bill Gates, una tassazione delle macchine (la famosa robot tax di cui nessuno parla) potrebbe finanziare nuove forme di welfare, sostenendo chi lavora, chi studia e chi si forma per migliorare, oltre al sistema pensionistico.
Per governare il cambiamento, in definitiva, occorre investire in cultura. Questo è il mio modesto parere. Cultura dell’ospitalità, prima di tutto: quella che non si limita a offrire un servizio, ma che educa al rispetto reciproco e alla responsabilità sociale. Il lavoro del futuro nel nostro settore sarà ibrido, digitale e, si spera, sostenibile. Ma dovrà anche restare, soprattutto, umano.
E forse è proprio qui che le parole del Presidente Mattarella trovano la loro applicazione più concreta: il lavoro cambia, sì, ma spetta a noi far sì che lo faccia nella direzione giusta: quella della giustizia, del rispetto e della dignità di ogni persona.
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