Viviamo vite che non sono più naturali. Non seguiamo i cicli della natura, che a loro volta sono compromessi dai cambiamenti climatici (accelerati con il nostro contributo tossico). Ci svegliamo e ci addormentiamo seguendo gli orari delle notifiche, non più quelli del sole. Comunichiamo sempre di più, ma spesso malissimo e pochissimo nella sostanza. Abbiamo la tecnologia come filtro costante tra noi e gli altri: uno schermo che ci disabitua all’ascolto, all’empatia, al contatto reale e umano.

Siamo diventati soprattutto consumatori, più che cittadini o persone. Viviamo oltre le nostre possibilità, concentrandoci sul superfluo invece che sull’essenziale. Intrattenimento e svago hanno sostituito in molte agende la cura per lo studio, il lavoro come contributo sociale, l’impegno civico, la dimensione familiare.

Tutto questo non è solo un cambiamento di stili di vita: è un mutamento culturale.


Dati che parlano chiaro

  • Secondo l’ONU, la popolazione mondiale consuma oggi 1,7 volte le risorse che la Terra può rigenerare in un anno.
  • Studi accademici recenti suggeriscono che l’uso intenso di tecnologia, in particolare video brevi e dispositivi mobili, vulnera la nostra capacità di concentrazione sostenuta e rende più difficili compiti che richiedono attenzione prolungata.
  • Secondo Eurostat, nell’ultimo decennio si registra una riduzione costante del tempo dedicato a famiglia, volontariato e vita comunitaria, a favore di consumo di contenuti digitali e intrattenimento.

Numeri che ci raccontano una deriva: più consumo, meno relazione; più connessione, meno comunità.


L’ospitalità come misura dell’essenziale

Eppure, c’è un criterio che può aiutarci a capire se una società è ancora sana: la capacità di ospitare.

  • Ospitare significa riconoscere l’altro e non ridurlo a numero, target o utente.
  • Significa limitare l’eccesso per dare spazio all’incontro, alla condivisione, alla cura.
  • Significa rispettare i cicli naturali, accogliendo i ritmi del tempo, delle stagioni, della vita.

Una società che perde l’ospitalità perde la sua anima. Perché ospitare è l’atto più umano e naturale che abbiamo: ci ricorda che non siamo isole, ma parte di un tessuto più grande.

-> Verifica il tuo “Indice di Ospitalità Personale” by Albergare -> clicca qui


Dove stiamo andando?

Se la traiettoria è quella del consumo, del filtro tecnologico, dell’assenza di relazione autentica, stiamo andando verso una società spersonalizzata, capace di produrre ma non di accogliere, di intrattenere ma non di prendersi cura.

Se invece sapremo riportare l’ospitalità al centro, potremo ritrovare l’essenziale:

  • la cura delle persone accanto a noi;
  • la responsabilità verso la natura che ci ospita;
  • la ricostruzione di comunità più resilienti, empatiche e giuste.

👉 La vera domanda allora non è solo “dove stiamo andando?”, ma: “siamo ancora capaci di ospitare?”


Scopri di più da AIRA Online

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

1 commento

  1. Echi dal Parnaso dice:

    Sacrosanto, con una precisazione che ritengo in linea con la sensibilità dell’estensore di questo servizio.
    Non basta ragionare di ospitalità in senso lato, o nell’ottica specifica dell’hôtellerie, senza prima valutare il fatto che siamo noi stessi, in quanto esseri umani, i primi ospiti sulla Terra. Un pianeta meraviglioso che ci accoglie fin dalla notte dei tempi, ma che va soffrendo sempre più a causa delle attività predatorie e spesso sconsiderate dell’Uomo.
    Dalle parole di Damiano Oberoffer mi sembra di capire che condivida il concetto che, per essere un buon anfitrione, occorre dapprima dimenticarsi del proprio ego e che sia necessario liberarsi dell’idea del possesso, imparando ad amare aldilà di sé stessi, oltre i propri desideri. Inoltre, che è bene agire nel pieno rispetto non solo della forma, ma anche dell’ambiente e di chi ci sta intorno; e nutrire lo spirito, insieme alla propria curiosità, per migliorarsi sia sul piano umano che professionale.
    Per dirla con il poeta, credo sia giusto mettere da parte – almeno per qualche istante – la tecnologia più o meno… intelligente ed ascoltare gli alberi “mentre cantano le loro canzoni nel vento”. (John Trudell)

    C. B.

Rispondi