Si deve sapere che, in natura, una vacca da latte produce circa mille litri di latte all’anno per nutrire il suo vitello. Ma un animale da allevamento intensivo ‘ad alta produttività’, che arriva ad oltre diecimila litri annui, non potrebbe vivere di sola erba; dunque, anziché brucare libera al pascolo o all’alpeggio, questa tipologia di ‘super giovenca’ da lattazione viene nutrita con cibo “alternativo” altamente energetico come i cereali, in gran parte sottratti alla nutrizione degli esseri umani.
È una delle ragioni per cui diventa “antieconomico” riportare le mandrie al pascolo, dove gli animali non potrebbero nutrirsi con rapidità conforme ai famelici ‘desiderata’ industriali. Il risultato è un sistema ‘a pascolo zero’, in cui gli animali vivono chiusi in recinti per gran parte della vita ed il cibo viene loro fornito nella stalla, scollegando l’intero sistema dalla terra e da ogni logica esistenziale. Ed in presenza di allevamenti con centinaia di capi, si tratta di condizioni senza ritorno.
Ma non si creda che questo genere di forzature esista solo nei Paesi dell’anglosfera, come gli States, dove ciò è prassi ordinaria, quotidiana follia: si pensi alla pianura padana, alle fin troppo celebrate produzioni casearie “nostrane” per le quali il gusto val bene uno spot, in assenza assoluta di mandrie al pascolo. Anche questo spiega perché una vacca da latte, che in natura può vivere fino a quindici anni, negli allevamenti intensivi viene avviata al macello entro i cinque anni d’età.
Va detto che uno degli obiettivi primari di chi produce, ma anche di chi acquista derrate per la propria ed altrui alimentazione dovrebbe essere quello di vivere in pace con sé stesso e con la propria comunità, col bestiame, con l’ambiente e col piatto in cui mangia: in poche parole, con il lato migliore della terra dove è nato, vive e lavora. Non farlo per interessi estranei al mondo rurale, il ‘must’ che riflette lo spirito del territorio col suo retroterra fervente di idee e di usanze ancestrali, è reato. Anzi, un crimine: un atto esecrabile di violenza contro il genio del luogo, contro la Vita stessa. Dunque, meglio restare in campana contro le mistificazioni della propaganda: si guardi, per esempio, ai censurabili slogan televisivi del tipo… “doccia e massaggio”.
In tale contesto, è giusto vedere nel comparto alberghiero nazionale un osservatorio privilegiato in grado di opporsi con serietà e competenza a tutto questo. Un settore capace, per naturale vocazione, di fornire valore aggiunto all’offerta il cui fiore all’occhiello è, o dovrebbe essere costituito dal servizio di ristorazione, prestigioso ma comunque passibile di crescita laddove si vogliano davvero promuovere sinergie con i produttori veri, quelli che privilegiano la Qualità.
Ciò è reso possibile dal giusto spazio concesso ai grandi valori ed alle tradizioni enogastronomiche del nostro territorio senza tralasciare, ovviamente, quei tratti di empatia e di orientamento al cliente che costituiscono la carta vincente dei professionisti dell’accoglienza. Un vero patrimonio etico ed umano che, nei decenni, ha guadagnato alla nostra Nazione la stima del mondo e, per questo motivo, saprà non arrendersi alla volgarità dei tempi moderni.
L’AGRONAUTA
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